Il primo soccorso al lavoro: la catena della sopravvivenza

Secondo alcune statistiche, la percentuale di morti prevenibili sul luogo di lavoro oscilla tra il 33% e il 73%. Ciò significa che molti soggetti infortunati potrebbero essere soccorsi più efficacemente, evitando danni irreversibili e morte. Per questa ragione è fondamentale migliorare la qualità del soccorso, senza dimenticare che in ogni caso “prevenire è meglio che curare”.

All’interno dell’azienda, quindi, il primo soccorso ricopre un ruolo fondamentale nel sistema di gestione della sicurezza, poiché dalla sua organizzazione dipende l’attivazione tempestiva dei primi tre anelli della catena della sopravvivenza.

Ma cos’è la “catena della sopravvivenza”?

Con questa espressione si intende l’insieme delle fasi operative che, se correttamente eseguite, consentono di ridurre il numero di “morti bianche” o il verificarsi di gravi e permanenti lesioni. Le prime manovre si differenziano nel caso in cui ci si trovi davanti a un malore improvviso (es. arresto cardiaco) oppure si abbia a che fare con lesioni dovute a traumi (es. incidenti stradali, ustioni, folgorazione).

Nel primo caso, gli anelli della catena sono:

  • Primo anello - riconoscimento e allarme precoci: in questa fase vengono riconosciuti i sintomi dell’arresto cardiaco e vengono chiamati i soccorsi.
  • Secondo anello - rianimazione cardiopolmonare precoce (RCP): l’obiettivo è, attraverso il massaggio cardiaco e le ventilazioni, sostituirsi all’azione del cuore per ritardare l’insorgere di danni irreversibili al cervello e ad altri organi.
  • Terzo anello - defibrillazione precoce: viene utilizzato il defibrillatore semiautomatico che, attraverso una scarica elettrica, permette di rimettere in ritmo il cuore.
  • Quarto anello - intervento precoce del soccorso avanzato: in quest’ultima fase interviene il personale sanitario che, attraverso farmaci e procedure di soccorso avanzate, permette il sostegno delle funzioni vitali.

Si differenziano invece gli anelli della catena per gli infortuni con traumi esterni:

  • Primo anello - allarme precoce e dispatch: in questa prima fase vengono allertati i soccorsi da parte dei presenti, a cui vanno indicati tutti i particolari riscontrabili e che servono per massimizzare l’intervento.
  • Secondo anello - valutazione condizione infortunato: la valutazione della sicurezza della scena e di potenziali rischi sono il centro della seconda fase, in quanto è necessario riconoscere e distinguere i casi più gravi da trattare per primi.
  • Terzo anello - trattamento preospedaliero: l’infortunato viene soccorso sul posto, in un primo momento dagli addetti al primo soccorso aziendali, e successivamente dal personale sanitario avanzato.
  • Quarto anello - centralizzazione: in questa fase l’infortunato viene trasportato presso un centro idoneo al trattamento in base al trauma subito.
  • Quinto anello - trattamento ospedaliero: nell’ultima fase al paziente viene diagnosticata l’entità del trauma e prosegue con la terapia di emergenza presso il trauma center.

Queste sequenze base devono essere adattate alla realtà del momento: infatti, la variabilità degli scenari è enorme e rappresenta la maggior difficoltà nel soccorso. In entrambi i casi, comunque, gli addetti al primo soccorso aziendale svolgono un ruolo fondamentale nelle prime tre fasi della catena, almeno per i passaggi basilari in attesa del soccorso avanzato.

Un elemento essenziale da considerare è il tempo. Si parla infatti di golden hour o golden period per indicare il tempo che intercorre tra l’accadere dell’infortunio e il trattamento sanitario. Questo lasso di tempo è il più critico, poiché quanto più questo è breve, maggiori sono le probabilità di sopravvivenza.

In questo periodo di tempo, in caso di traumi maggiori, si deve decidere quale strategia operativa adottare:

  • Scoop & run (carica e corri): è la strategia che predilige far arrivare il paziente al trauma center il prima possibile; è indicata per ferite penetranti per cui le emorragie che si formano sono difficili da arrestare.
  • Stay & play (stai e tratta): si preferisce questa strategia qualora il trauma sia chiuso, ovvero non ci sono lesioni penetranti in profondità o emorragie agli arti; il paziente viene quindi stabilizzato e poi portato all’ospedale.
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